22 -23 giugno. Da: I Quaderni del 1943 di Maria Valtorta

22 giugno 1943, ore 23,30.

 

Dice Gesù:

«Uno dei segreti per raggiungere la santità è questo: non mai distogliere la mente da un pensiero che deve reggere tutta la vita: Dio. Il pensiero di Dio deve essere come la nota su cui tutto il canto dell’anima s’intona.

Hai visto come fanno gli artisti? Si muovono, vanno, vengono, sembra che non guardino giù dal palcoscenico. Ma in realtà non perdono mai d’occhio il maestro di musica che dà loro il tempo. Anche l’anima, per non sbagliare e per non distrarsi ‑ cosa che la farebbe sbagliare ‑ deve tenere l’occhio dell’anima sempre fisso in Dio. Parlare, lavorare, camminare, ma l’occhio mentale non deve perdere di vista Iddio.

Secondo punto per raggiungere la santità: non perdere mai la fede nel Signore. Qualunque cosa avvenga, credere che avviene per bontà di Dio. Se è cosa penosa, anche cattiva, e perciò voluta da forze estranee a Dio, pensare che Dio la permette per bontà.

Le anime che sanno vedere Dio ovunque, sanno anche cambiare tutte le cose in moneta eterna. Le cose cattive sono monete fuori corso. Ma se le sapete trattare come si deve, esse divengono legali e vi acquistano il Regno eterno.

Sta a voi rendere buono ciò che non è buono; fare delle prove, tentazioni, disgrazie ‑ che fanno rovinare del tutto anime già crollanti ‑ tanti puntelli e fondamenta per edificare il tempio che non muore. Il tempio di Dio in voi al presente, il tempio della beatitudine nel futuro, nel mio Regno.»

 

 

23 giugno, ore 9‑10.

 

Dice Gesù:

«Nell’altro incontro eucaristico ti ho fatto vedere cosa è l’Eucarestia. Oggi ti mostrerò un’altra verità eucaristica. Se l’Eucarestia è il cuore di Dio[1], Maria è il ciborio di quel Cuore.

Guarda mia Madre, eterno ciborio vivo in cui scese il Pane che viene dal Cielo. Chi mi vuole trovare, ma trovare con la pienezza delle doti, deve cercare la mia Maestà e Potenza, la mia Divinità, nella dolcezza, nella purezza, nella carità di Maria. È Lei che del suo cuore fa il ciborio per il cuore del suo e vostro Dio.

Il Corpo del Signore si è fatto corpo nel seno di Maria, ed è mia Madre che con un sorriso ve lo porge come se vi offrisse il suo amatissimo Pargolo deposto nella cuna del suo purissimo, materno cuore. È gioia di Maria, nel Cielo, darvi la sua Creatura e darvi il suo Signore. Con il Figlio vi dà il suo cuore senza macchia, quel cuore che ha amato e sofferto in misura infinita.

È opinione diffusa che mia Madre non abbia sofferto altro che moralmente. No. La Madre dei mortali ha conosciuto ogni genere di dolore.  Non  perché  lo  avesse meritato. Era immacolata e l’eredità dolorifica di Adamo non era in Lei. Ma perché, essendo Corredentrice e Madre di tutto l’umano genere, doveva consumare il sacrificio  fino al fondo e in tutte le forme. Perciò soffrì, come donna, le inevitabili sofferenze della donna che concepisce una creatura, soffrì stanchezze della carne appesantita del mio peso, soffrì nel darmi alla luce[2]2, soffrì nell’affrettata fuga, soffrì mancanza di cibo, soffrì caldo, gelo, sete, fame, povertà, fatica. Perché non avrebbe dovuto soffrire se Io, il Figlio di Dio, soggiacqui alle sofferenze proprie dell’umanità?

Essere santi non vuole dire essere esenti dalle miserie della materia. Essere redentori, poi, vuol dire essere particolarmente soggetti alle miserie della carne che ha sensibilità dolorifiche. La santità e la redenzione si esplicano e si raggiungono con tutti i modi, anche con dei mali di denti, per esempio. Basta che delle miserie carnali la creatura se ne faccia un’arma di merito e non di peccato.

Io e Maria, delle miserie della natura umana abbiamo fatto tanti pesi di redenzione per voi. Anche ora soffre mia Madre quando vi vede così sordi alla grazia, ribelli a Me. Santità, lo ripeto, non vuole dire esclusione del dolore, ma anzi vuol dire imposizione del dolore. .

Ringrazia dunque Maria, che mi ti dà con un sorriso di madre, per tutto il dolore che l’esser mia Madre le ha portato. Non ci pensate mai a dire grazie a Maria nel cui seno divenni carne! Quella Carne che ora do a voi per nutrirvi alla vita eterna.

Basta: contempla e adora Me raggiante nell’Eucarestia, nel trono vivo che è il petto di Maria, la purissima Madre mia e vostra.»


Ora spiego io. Domenica, anzi no. Venerdì 18 mi pareva di vedere Gesù a fianco del letto, gliene ho accennato. Ma non faceva nulla. Domenica 20, prima che venisse lei[3], mentre c’era lei e dopo la sua venuta per la Comunione, mi pareva di vedere Gesù, non più a fianco del letto, ma in fondo allo stesso, che mi dava Lui la particola. Ma non aveva pisside in mano: aveva il suo Cuore e mi dava come particola il suo Cuore levandoselo dal petto. Era di una maestà e di una dolcezza infinita. Mi spiegò poi il significato della visione. L’avrà trovato nel quaderno[4] in data 20 giugno.

Stamane vedo la Madonna. Pare seduta, sorridente con amore, e mestizia però. Ha il manto scuro che le scende dal capo, aperto sulla veste pure scura, sembra marrone. Alla vita ha una cintura scura. Sembrano tre toni di marrone. In testa, sotto al manto, deve avere un velo bianco perché ne intravedo un lieve filino.

Sul mezzo del petto raggia un’Ostia grandissima e bellissima. E ‑ quello che costituisce il mirabile della visione ‑ pare che attraverso le Specie (che qui paiono come un quarzo bellissimo: sono pane, ma paiono cristallo brillante) appaia un bellissimo bimbo. Il Bimbo‑Dio fatto carne.

La Madonna, che ha le braccia aperte per tenere aperto il manto, guarda me e poi china il volto e lo sguardo adoranti sull’Ostia che sfavilla nel suo petto. Nel suo petto, non sopra al petto. È come se, per dei mistici raggi X, io potessi vedere nel petto di Maria, o meglio è come se dei raggi X facessero apparire al di fuori quello che è dentro a Maria. Quasi Questa fosse di un corpo senza opacità. Non so spiegare.

Insomma io vedo questo e Gesù me lo spiega[5]. La Vergine non parla. Sorride solo. Ma il suo sorriso è eloquente come mille parole e più ancora.

Come mi piacerebbe saper dipingere per fargliene copia e fargliela vedere. E soprattutto le vorrei fare vedere le diverse luminosità. Sono tre: una, di una pacata  soavità, costituita dal corpo di Maria, è l’involucro esterno e protettore della seconda, raggiante e viva luminosità costituita dalla grande Ostia. Una luce vittoriosa, direi, per usare parola umana, la quale fa da involucro interno al Gioiello divino che splende come fuoco liquido di una bellezza che non si descrive e che è, nella sua infinita bellezza, infinitamente dolce, ed è il piccolo Gesù che sorride con tutte le sue carni tenerelle e innocenti per la natura sua di Dio e per la età sua di infante.

È uno splendore, questo terzo, sotto i veli degli altri due splendori, che non c’è paragone a descriverlo. Bisogna pensare al sole, alla luna, alle stelle, prendere le luci diverse di tutti gli astri, farne un unico vortice di luce che è oro fuso, diamante fuso, e questo dà una pallida similitudine di quanto vede il mio cuore in quest’ora beata. Cosa sarà il Paradiso avvolto da quella luce?

Ugualmente non c’è paragone atto a dire la dolcezza del sorriso di Maria. Regale, santo, casto, amoroso, mesto, invitante, confortevole… sono parole che dicono uno e dovrebbero dire mille per accostarsi a quello che è quel sorriso verginale, materno, celeste.

 


[1] Nei dettati del 4 giugno (pag. 13) e del 20 giugno (pag. 123).

[2] Da intendersi alla luce dei dettati del 7 settembre, del 15 settembre, del 27 novembre, dell’8 dicembre, del 18 dicembre, del 25 dicembre, del 29 dicembre. Inoltre, nella monumentale opera sulla vita del Signore, che sarà scritta da Maria Valtorta, si legge che la divina maternità della Madonna non comportò in Lei alcun dolore fisico, che è frutto del peccato originale, dalla cui macchia Ella fu preservata; ma che la Madonna, essendo la Corredentrice, soffrì ogni sorta di dolore, procurato dalle circostanze e dagli uomini, anche a riguardo del suo concepimento e del suo parto verginali.

[3] Padre Migliorini.

[4] Nel quaderno n. 3.

[5] Nel dettato del 20 giugno, pag.123.

Precedente Novena la Preziosissimo Sangue di Gesù Successivo Lo "strappo" del pontefice che non va al concerto per lavorare